Conclusioni
Credo soltanto nella pittura senza alibi, senza moda o corrente, ma come espressione individuale libera da schemi imposti dall’esterno. E’ per questo che mi sono interessata all’Art Brut . Oggi il rapporto tra il produttore e il fruitore è piegato a logiche anti-etiche. C’è sul mercato dell’arte una drogata lievitazione delle quotazioni. L’arte segue le mode imposte dal mercato. La gente non si fida più del giudizio personale ma ammira chi è più quotato. Essere come gli altri è una regola oggi, nessuno ha il coraggio di essere se stesso e di apparire anche eccentrico ma puro. Ci vuole coraggio per uscire dal gregge che da sicurezza e che cancella l’originalità. Siamo diventati prodotti omogeneizzati, siamo persone e non individui, siamo nell’ombra degli altri, chi ha possibilità finanziarie detta legge e la folla segue senza senso critico ma con la sicurezza di essere “come gli altri”.
Gli anni settanta sono gli anni della contro cultura, del movimento underground. Il concetto de l’Art Brut è annegato nella contestazione generale. In seguito il genio sarà sempre un elemento di eccezione che disturba. Anche se non dovrà più portare il nome di Art Brut, è nei margini dei margini che bisognerà cercarlo. All’opposto dell’Art Brut vediamo oggi giorno degli esempi di artisti manager, che hanno l’unico scopo di vendere e dare un’immagine di loro stessi. Sono sempre più numerosi. Un’artista che non si sa gestire e non entra nel circuito si vede tagliato fuori dai mercati dell’arte ed in questo modo i veri geni saranno difficilmente scoperti. Damien Hirst, artista contemporaneo brittanico è l’esempio conclamato dell’artista- manager.
Damien Hirst, è un artista che ha l’arte del commercio. Crea due opere a settimana ricavando l’equivalente di un milione di euro. Inglese, Damien Hirst nasce a Bristol nel 1965. E’ l’artista più pagato al mondo. In una decina di anni ha conquistato il mondo esponendo squali e mucche imbalsamate, teschi ricoperti di diamanti e altre opere folli. Ma come sottolinea la stampa inglese, gran parte del suo successo è frutto di furbizia. Egli appare più sulla stampa finanziaria che sulle riviste dedicate all’arte. L’Opera sua più famosa è il teschio ricoperto di diamanti. Perchè le sue opere piacciono così tanto da sbancare le aste anche nei giorni della crisi economica? E’ molto bravo a fare parlare di sè. Parte da idee dirompenti le pubblicizza con operazioni ardite che spesso coinvolgono personaggi celebri. E’ insomma un artista imprenditore che apre ristoranti, produce jeans e pigiami col suo marchio. Non realizza direttamente le opere. Mette l’idea poi i suoi collaboratori le eseguono. Lui mette la firma. Hirst fa dell’arte un affare o piuttosto fa affari con l’arte. Noto al grande pubblico per i suoi animali conservati in formalina, è l’esponente più noto della Young British Art. Ha ricevuto il Turner Prize, il più alto riconoscimento britannico per gli artisti emergenti. Ha arredato un ristorante con flaconi di medicinali per arredare le pareti e ha incassato 11 milioni di dollari quando lo ha venduto. Tutto ciò per farvi capire che è più facile oggi mettere un’artista sul mercato che pubblicizzare una saponetta! come già detto prima.
L’arte deve avvicinare la gente, essere accessibile a tutti. L’arte è necessaria a chi la fa, per trovare una ragione di vita, e a chi l’apprezza per aggiungerci valore e per arricchire e approfondire il significato di estetica. E’ il dovere di una società evoluta diffondere l’arte e darle l’importanza che deve avere nell’educazione, nella cultura. L’arte ingentilisce, è un vettore di pace nella società. Oggi si entra in punta di piedi in una galleria, si ha paura di dovere pagare l’entrata o di dover comperare per forza un quadro. Immaginiamo l’artista come beatificato su un piedistallo, si ha paura di non capire la pittura. I galleristi e le loro tradizioni di esposizione delle opere, hanno messo i curiosi in soggezione, togliendo loro la spontaneità dell’interesse che ponevano all’arte. I quadri oltre ad essere guardati devono essere toccati, respirati! Viviamo l’arte tutti insieme, rendiamola viva e ricca per tutti, come un linguaggio di comprensione universale. E’ nata così e così deve rimanere. L’arte si trovava già tutta per intero espressa nelle grotte preistoriche, era un bisogno innato nell’essere umano di rappresentare, di esprimersi, di comunicare. Oggi si assiste ad una drogata accensione delle valutazioni di artisti considerati contemporanei e in vetta alle quotazioni. C’è il produttore, artista, e il consumatore, la galleria o il collezionista, il rapporto tra di loro è esclusivamente commerciale e di promozione artistica mirata ai mercanti più abili sul mercato.
L’arte è un linguaggio, una forma di comunicazione.
L’arte deve essere desacralizzata, smitizzata dal suo contesto di snobismo.
L’arte deve scendere nella strada.
La gente deve capire che non c’è niente da capire nell’arte! Il compratore deve sentire un’attrazione vera verso l’opera che ammira o che vuol comperare, un po’ come l’innamoramento.
Io m’immaginerei uno spazio comunale nelle città dove tutti, con le loro varie possibilità espressive, potessero dipingere, confrontarsi con gli altri, imparare e crescere. Artisti, musicisti, attori, tutti quelli che possiedono una forma di comunicazione profonda, potrebbero partecipare. Il mondo guadagnerebbe finalmente non in termini di denaro ma in termini di umanità e valori profondi. Klee ha invece fatto riferimento a quelle forze creative innate, cioè “l’invisibile dell’arte”, nelle quali l’artista deve inserirsi perché la natura possa, attraverso di lui, generare nuove realtà, nuovi mondi. In maniera non tanto diversa, anche per gli artisti Brut, l’arte ha rappresentato un mezzo per manifestare la propria anima. Ciò è avvenuto senza una precisa intenzione di “fare arte”, ma per la necessità di sfogare una piena di sentimenti dettati da condizioni di smarrimento, di solitudine e di nostalgia per gli affetti perduti e i nuovi desideri ad essi collegati. In tale modo, oltre a ritrovare sé stessi e la propria natura di persone, gli artisti Brut sono riusciti ad elaborare dei sistemi di espressione del tutto originali, spinti da un’energia divina.
L’importante è ricordarsi che c’è sempre del sacro nell’atto creativo. La vera creazione non si cura di essere o non essere arte, (Dubuffet Batons rompus 1986). L’arte nasce nel silenzio e richiede l’intimità dell’ombra. L’artista vero deve fare arte e non l’artista come diceva Jean Dubuffet.