Compagnia dell’Art Brut
La compagnia dell’Art Brut nata nel 1948, si fissa come obiettivo di fare una grande mostra annuale dei dipinti e altre creazioni Brut. Sei membri fondatori rappresentano la compagnia dell’Art Brut. Jean Dubuffet, André Breton, Charles Ratton, mercante di arte primitiva, Michel Tapiè, Jean Paulhan e Henri-Pierre Rochè. La collezione di Dubuffet si sposta a Parigi. Un’esposizione generale espone un centinaio di opere di 40 artisti, assieme a disegni di bambini. La compagnia dell’Art Brut fa un appello ai medici psichiatri in una notizia per arricchire la collezione, e sensibilizzare i medici sulle opere creative nei manicomi. La galleria Drouin è la prima manifestazione di Art Brut e si espongono 200 lavori di 63 artisti, tra cui Chaissac.
Dubuffet va a Heidelberg per vedere la collezione di Prinzhorn tenuta nascosta per 17 anni. Poi il primo periodo de l’Art Brut finisce in un modo inaspettato. Le collezioni vanno in America dove Dubuffet vuole stabilirsi ospite del suo ammiratore Alfonso Ossorio. Dubuffet si divide da Breton evitando così di cadere nelle mani del movimento surrealista. Rifiuta il condizionamento dell’arte tradizionale. La preoccupazione maggiore di Dubufffet è di definire le caratteristiche di l’Art Brut in un modo irreprensibile e precisa che tre sono le sorgenti del Art Brut:
– le opere dei malati mentali (Aloise, istitutrice svizzera mistica, pacifica)
– l’arte dei medium scrittura automatica, trance verbale, autoipnosi (Crépin e Lesage )
– i marginali ed eccentrici come Gaston Chaissac.
La genesi dell’arte rileva di un deficit della realtà, che costringe a una nuova creazione partendo da motivazioni esistenziali. L’artista riesce a sopravvivere al gelido contatto del nulla svelato dalla malattia solo se processi creativi creano un nuovo aggancio. Alla base di questa nuova creazione ci sono le profonde strutture individuali del malato, la sua memoria inconscia, celate nella sua interiorità. Se esse determinano la creazione artistica, attraverso un’elaborazione concreta o astratta che sia, allora possiamo parlare di arte. L’arte è nello stesso tempo la cosa più privata e quella più universale. Dubuffet ama anche definire quello che l’Art Brut non è. Non è arte naif, nè arte descrittiva, non è esteticamente convenzionale. L’Art Brut non è nemmeno l’arte dei folli o arte psicopatologica, perchè il genio inventivo dei malati mentali, essendo l’eccezione, tutti i malati mentali non fanno un lavoro di uguale interesse e l’Art Brut è solo una piccolissima parte dell’arte dei folli. Ogni forma selvaggia di creatività prodotta nei manicomi e fuori, è un’espressione dell’Art Brut in contrapposizione con l’arte colta, l’arte omologata dalla Cultura con la C maiuscola, accademica e riconosciuta negli ambienti artistici e nelle istituzioni.
Alcune definizioni utili.
L’Artista non segue parametri dettati da critici d’arte e non fa parte di classificazioni prestabilite. L’artista è guidato da una passione profonda che è il motore della sua ispirazione. L’esteta invece guarda l’opera da fuori, ha la capacità di giudicarla seguendo regole tradizionali di bellezza, equilibrio e armonia, ma non è coinvolto in prima persona nella nascita e nell’essenza dell’opera. E’ dotato di una speciale sensibilità che lo rende attento alle opere d’arte e capace di dare un giudizio personale su di esse. L’artigiano è prevalentemente un uomo che ha il mestiere, con tecniche ben rodate. Gli artigiani sono preziosi operai del bello. Si trovano in tanti campi diversi, come dal ferro battuto, al cuoio, il vetro, la terra cotta, la decorazione su porcellana, ecc. Sono dei tecnici specializzati nella realizzazione di oggetti. Alcuni hanno molto estro e talento. L’artigianato è anche uno strumento terapeutico rilevante, in uso in tante strutture. I rischi dell’arte-terapia stanno nella precoce tecnicizzazione, nella mercificazione, nella degenerazione psicologistica che uccide la spontaneità del gioco, dell’incontro e del contatto. Perciò le opere effettuate negli atelier di “terapia attraverso l’arte” non sono considerate dall’Art Burt.
I creatori di Art Brut in generale non sanno dipingere o scolpire, parlando delle tecniche accademiche, ma hanno la potenza della loro ispirazione che fa la forza della loro arte. Le loro opere sono spesso maldestre, eseguite con pochi mezzi. Gli artisti riusano e recuperano materiale utile per loro. E’ un’arte che chiede urgenza di esecuzione.
Nell’Art Brut la vera creazione è un’attività ossessiva, introversa che tende al simbolismo alla schematizazione. La relazione dell’Art Brut con la cultura popolare è evidente quando pensiamo all’origine, spesso povera, degli artisti. L’Art Brut può apparire come una forma incolta, autistica di un arte popolare sradicata in un epoca in cui culture e tradizioni scompaiono.
Nasce a Vence il secondo periodo della compagnia dell’Art Brut alla fine degli anni ’50 e finisce in Svizzera negli anni ’70. E’ un periodo di sviluppo e di organizzazione. Dubuffet fa conoscenza di tanti artisti.
Dubuffet si è fatto conoscere negli Stati Uniti. Fa mostre in tutta Europa ma anche a New York e Chicago. Le opere rimaste da Ossorio negli USA, tornano in Francia nel 1962. In settembre si costituisce di nuovo la compagnia dell’Art Brut con sette nuovi addetti, quelli del movimento Cobra. Il ritorno della collezione a Lausanne è stata possibile grazie all’aiuto di psichiatri e di corrispondenti. Essa si sviluppa molto velocemente e raggiunge un livello senza nessun confronto. Il museo dell’Art Brut apre a Lausanne nel 1975, con grande dispiacere di Parigi che non aveva saputo valutare al suo tempo la ricchezza di queste opere. Michel Thévoz, responsabile del museo e erede spirituale di Jean Dubuffet, dice dell’Art Brut: è l’arte applicata di persone che, per una ragione o l’altra non hanno subito il condizionamento culturale né il conformismo sociale. Sono i disadattati marginali di ogni genere, provenienti da manicomi, da carceri. Hanno prodotto opere senza preoccuparsi del pubblico.
Prima che un opera entri a fare parte del Museo dell’Art Brut Michel Thévoz, direttore del museo dell’Art Brut di Lausanne, assieme con Geneviève Roulin devono:
– studiare un insieme di opere dello stesso artista per valutare forza, indipendenza e originalità.
– valutare se l’espressione artistica è elaborata o dipende da una sintassi plastica personale.
– raccogliere informazioni sulla personalità dell’artista e sul suo percorso personale.
La scelta della opere del museo si basano dunque su:
– marginalità sociale
– verginità culturale
– nessun scopo di lucro
– autonomia artistica
– inventiva
La collezione non comprende opere di arte primitiva soltanto per ragioni di spazio.
La nozione di Art Brut ha basi estetiche e sociologiche. Nessuna caratteristica può riunire o definire queste opere, che sia di ordine tematico, iconografico, stilistico o tecnico. Davanti ad un opera di Art Brut si ha un approccio emotivo, una partecipazione particolare. Non ci si pone la domanda “mi piace o non mi piace”, ma la comunicazione è molto intensa. E’ un emozione forte che i quadri stessi danno. Sono i quadri che parlano. Il messaggio di paura, di angoscia, di intimità e di stranezze, provoca esaltazione filosofica. Ho notato che si torna spesso a vedere il museo dell’Art Brut come se fosse un richiamo alle nostre origini profonde inespresse e quindi a un ritorno intimo nella nostra essenza d’origine.
Poco dopo, la compagnia de l’Art Brut si dissolve e da gran parte delle sue opere al museo. Un’altra epoca è iniziata. Gli anni che seguono sono quelli del movimento underground, il significato di Art Brut è annegato in una contestazione generale. Nascono delle opere come il Palazzo ideale del facteur Cheval, che è un esempio folgorante di arte Brut. A margine nasce l’arte terapia, l’esempio più clamoroso è la Tinaia a Firenze. Nel campo psichiatrico dopo l’introduzione degli psicofarmaci tanti manicomi hanno chiuso le porte (legge Basaglia), e tanti ateliers di espressione culturale hanno invece aperto le porte. Al contrario degli anni prima della guerra, un’inflazione di collezioni nascono. In questo contesto di volgarizzazione dell’arte terapia la qualità va scemando ad eccezione di alcuni. Infatti all’ospedale San Giacomo di Verona il Professore Mario Marini e lo scultore scozzese Michael Noble, scoprono il grande genio, Carlo Zinelli, tanto stimato da Dino Buzzati. Carlo relizzerà 3000 tempere spesso su ambedue i lati del foglio, come per non interrompere il filo narrativo.